Racconto “il caso Sofia Bettini” cap 5-6-7

Il caso Sofia Bettini

Capitolo 5

         Dopo che Carla ebbe aperto, fu l’Archetti ad accogliere la combriccola, e senza troppi preamboli

 “Signori, benvenuti, vogliamo accomodarci. Dopo le presentazioni il notaio era passato subito all’introduzione e a  ciò che comportava accedere all’eredità Bettini. Oltre ad una serie di piccole clausole facilmente superabili c’era la lettura del Diario che richiedeva la disponibilità degli ospiti a restare in Franciacorta  come minimo 15 giorni.

A parte Colorado, che per l’occasione aveva portato con se Teresa, gli altri due Bettini iniziarono a protestare. – Abbiamo degli impegni – esclamarono in contemporanea.

“Signori miei, nella lettera di preavviso siamo stati chiari. Non possiamo fare diversamente, ma potete pur sempre rinunciare al lascito.”

Silenzio, nessuno fiatò più.  Carla, aperto il quaderno nero,  diede finalmente inizio alla  lettura delle prime pagine manoscritte con una calligrafia piccola e chiara.

 

Dal diario di Sofia Bettini

Mia cara sorella Colorado, e miei cari nipoti Lucia e Freddy, e cara Carla, alla cui voce ho affidato la lettura delle  mie memorie, sappiate che tutto ciò che seguirà non è un caso, ma è il risultato di indagini da parte mia, e riflessioni attente.

La vita mi ha resa una donna cauta, e oltre ai sentimenti ho imparato a far uso della  ragione, facoltà che spesso noi donne trascuriamo. Sentimento e ragione collaborando assieme mi hanno portata alle conclusioni che udirete al termine della lettura delle mie memorie. Sia chiaro che ognuno di voi verrà gratificato da un lascito, ma nella misura che ho ritenuto opportuno, dopo esservi stata vicina, avervi conosciuti e studiati, per carpire la vostra forza, e snidare le vostre debolezze. Ammetto di non essere stata del tutto corretta nel presentarmi a voi sotto altre vesti, del resto, se ci pensate bene, quante volte nella vita usiamo maschere che non ci appartengono pur di giungere allo scopo? Il mio obiettivo era sapere di cosa siete capaci, appurare le vostre nature, decidere se amarvi oppure no, essere fiera di voi, o ammettere le vostre miserie e imparare ad accettarle.

 

Come un ragno laborioso ho tessuto una tela fatta di fili di seta, per avvolgervi e proteggervi da voi stessi, che quello che ho visto non mi ha certo tranquillizzata.

        Prima di proseguire Carla ebbe un attimo di esitazione, voleva studiare le reazioni dei presenti, era curiosa di capire questi Bettini. Riprese subito

A Lucia

Col nome di Marina Cerruti, una ricca signora che arrivava dal nord, una mecenate dei giovani artisti emergenti, mi sono fatta presentare a te, Lucia Bettini. Ricordi? Ho fatto finta di essere un amante dell arte e di apprezzare la tua creatività Intanto, visto che mi sembravi piuttosto sprovveduta ho cercato di aiutarti a modo mio.  E dopo articolate manovre con le autorità locali sono riuscita  a farti organizzare una mostra permanente, una collettiva dove però i tuoi quadri sarebbero stati i protagonisti. Sempre nascondendomi dietro la maschera di una mecenate, amante dei giovani artisti,  ti ho invitata spesso nella  casa che avevo affittato a Lecce per l’occasione, e dove organizzavo  grandi feste per presentarti le persone giuste, quelle che contano. Quante parole, quanti incontri, quanto denaro ho profuso per far si che gli inetti che governavano le istituzioni e da cui poteva dipendere un tuo successo si interessassero al tuo lavoro.

 Ma proprio quando ci stavo riuscendo col tuo caratteraccio, con le uscite fuori luogo sei riuscita a distruggere tutto, e tu sai a cosa mi riferisco. Fiera di un talento che non possiedi, trattavi tutti male, amici, amanti, anche quei pochi che ti hanno commissionato opere grazie a me.

Alla fine mi sono arresa e  sono ripartita rattristata, delusa: ti ho lasciato una lettera a cui non hai mai risposto. Mi ripromettevo di tornare a Lecce, il tempo mi ha insegnato la pazienza, ma mi sono ammalata, ho continuato a informarmi sul tuo conto e so che la situazione è peggiorata.

Lucia con la  testa china fissava il morbido tappeto che faceva da tramite tra le due poltrone d’angolo. Certo che se la ricordava quell’anziana signora, elegante, dal portamento fiero, ma riservata.  Una donna d’altri tempi, aveva pensato, un extraterrestre. Un po’ noiosa,sempre a farle prediche, devi fare così devi fare cosà, mica era sua madre. Per un po’ l’aveva sopportata partecipando alle serate organizzate per lei, senza capire perché l’anziana si desse così tanto da fare per farle piacere. Del resto era una donna misteriosa, non c’era dubbio, un enigma, ad esempio non aveva mai saputo  da dove provenisse e ogni volta che lei si era spinta a fare qualche domanda, così tanto per fare, l’altra l’aveva zittita garbata ma ferma.

Una zia dunque, di cui la defunta Luisanna Bettini, sua madre, vedova Pizzini, quando ancora in vita non le aveva mai parlato.

Carla intanto, sempre più stupita dalla storia Bettini,  proseguiva con voce attenta la lettura:

A Freddy. Scegliere la maschera con cui presentarmi non è stato facile. Ero disorientata, non potevo credere che un Bettini fosse uno gigolò, un ladro da strapazzo, un imbroglione incapace di gestire anche l’arte dell’imbroglio. Perché anche rubare richiede impegno. Ti dissi di essere una signora che voleva un po’ di compagnia, senza sottintesi. Feci finta di credere che eri un ragazzo di mondo e ti chiesi di accompagnarmi a mostre e eventi culturali, tutto ciò di cui la tua città, Milano, è ricca.

Che brivido gli sguardi dei tuoi amici. – Mi pare di risentirne i commenti. Stavolta hai pescato bene – dai che la vecchia gallina la spolpiamo a dovere. Per non smentire il suo cinsimo Freddy fece un ghignò, e poi tra se e se –  però la vecchietta pensò, è stata in gamba, chi avrebbe mai detto che era tutta una farsa.-

A Colorado. Cara sorella, apprezzo che tu abbia finalmente trovato una tua dimensione esistenziale, dopo tanta sofferenza, finalmente qualcuno che sa apprezzarti. Mi sei cara come allora, tu e Luisanna eravate il mio sostegno, mi spiace tanto che per Luisanna sia finita male.

Durante tutta la lettura Colorado e la sua compagna si tennero per mano, erano evidentemente commosse. Forse le uniche che avevano inteso l’amore nel gesto di Sofia.

Fuori faceva scuro, quando il notaio si accomiatò dai presenti dopo aver dato loro appuntamento per il giorno dopo.

 

Capitolo 6

        Nel piccolo appartamento che aveva preso in affitto da pochi mesi, in località Palazzolo, Carla si sentiva al sicuro. Finalmente libera, una donna  indipendente. Ogni tanto rivedeva la stanza dell’Istituto delle suore dell’ Immacolata, dove era stata accolta da quando aveva sette anni.  Ricordava  che le assistenti sociali le avevano raccontato della morte dei suoi  in un incidente stradale,  e preso atto che la piccola era rimasta sola al mondo avevano cercato la soluzione migliore. Era passata attraverso varie casa famiglia, esperienze da brivido, e finalmente era approdata all’Istituto delle suore dell’Immacolata. Qui non aveva trovato l’amore di cui ha bisogno un bambino ma, soprattutto Suor Agnese, le aveva insegnato le regole garantendole quell’educazione, che occorre per affrontare la vita.

L’Istituto di Suor Agnese,  era un centro molto particolare, da una parte c’era l’ accoglienza per le ragazze come lei, senza famiglia, mentre l’altra parte dell’istituto ospitava alcune detenute del carcere di Brescia, le più giovani in attesa di giudizio.

Negli anni aveva scoperto di preferire il rapporto con le detenute, con alcune delle quali aveva creato una splendida alleanza.

Un giorno Suor Agnese l’aveva chiamata – la settimana prossima andrai a lavorare presso lo studio di un notaio in Franciacorta, poi ti darò tutte le istruzioni – l’aveva informata la madre, piuttosto orgogliosa.

      – Ma come mai hanno scelto proprio me!- chiese Carla stupita

      – Pare abbia  ricevuto una segnalazione – ma non so altro.

Da lì ebbe inizio la sua nuova vita, Era soddisfatta, ma in cuor suo era rimasta  amica di Jessica, Aisae Alma, e per le festività si ricordava sempre di loro, andandole a trovare per metterle al corrente delle sue novità. Sapeva quanto fossero importanti quelle visite durante le quali le ragazze le si stringevano attorno, come falene alla luce, perché era questo che lei portava nel buio delle loro vite. I ricordi tornavano cari, ma ora bisognava affrontare un presente che le appariva minaccioso.

Improvvisamente le venne voglia di tornare a far visita allo Sparviere, come se in quel luogo ci fossero le risposte alle sue paure, il modo di risolvere lo stato di ansia che da quando era iniziato il caso Bettini l’assediava senza sosta.

       Lasciato il pick up, prese a salire lentamente per la stradina che ormai conosceva bene, pregustando il momento in cui avrebbe ammirato il panorama sottostante, la vallata il cui fascino derivava anche dall’ordine dei filari dei vigneti, e da quello che si intravedeva delle ville, in parte nascoste tra il verde. Quasi giunta alla meta si fermò dietro ai cespugli cercando riparo, quando di nuovo quell’ orribile brivido, un formicolio che partendo dalla punta dei piedi iniziò a salirle, lentamente, su per le caviglie attraverso le ginocchia,le cosce, l’inguine serrato, il ventre teso, il piccolo petto, e la gola, per fermarsi in un punto al centro della fronte spaziosa.

Il buio la inghiottì, anche la casupola ora appariva avvolta dall’oscurità dovuta a un cielo orfano di stelle.  Il silenzio assoluto sembrava nutrirsi delle paure che lui stesso aveva generato. Dalla porta stretta e deforme uscì una donna dal capo coperto, con un fardello di dimensioni incerte tra le braccia. La  donna  restò unica protagonista della scena solo per poco, perché dal nulla emerse una nuova figura. Un uomo con indosso una tonaca nera, forse un prete che camminando a passi cauti e anche un po’ incerti si dirigeva sicuro verso la donna. Ora erano uno di fronte all’altro, si scambiano parole che non poté udire. Infine,  dalle mani indecise della donna, il fagotto passò  in quelle tozze e robuste del prete.

       Carla rimase svenuta a lungo nel prato, e questa volta nessuno venne  a soccorrerla. Quando fu in grado di alzarsi, ripresa coscienza, ebbe dentro di sé la certezza di aver assistito ad un episodio realmente avvenuto e di cui i luoghi oltre ad essere stati testimoni avevano conservato la memoria nelle loro cellule immortali; dove ora si ergeva fiero lo Sparviere, in quella radura  resa splendida dalle cure di mani sapienti, tanti anni prima qualcosa di terribile era accaduto. Ne era certa. Un  bambino  era stato fatto sparire, e nessuno avrebbe potuto convincerla del contrario.

 

Capitolo 7

         Erano passati quasi dieci giorni dal primo incontro, e ogni mattina per un motivo o per l’altro i Bettini si erano recati diligenti allo studio del notaio per ricevere le quotidiane istruzioni.

“Per fortuna oggi è l’ultimo giorno”  le disse Archetti quel lunedì mattina.

“ Da quando abbiamo preso quest’incarico, non sei più la stessa, ma che ti prende, Carla, neanche tu fossi una Bettini!”

La lettura del diario era terminata, Sofia era stata chiara e aveva saputo narrare con un certo gusto per la scrittura  gli episodi salienti della sua vita. L’incontro fortunato con il Maestro Corsini, gli anni passati con lui, il contatto con un mondo che le aveva permesso di costruirsi una nuova identità. Pagine piene di gratitudine, di realizzazioni, di incontri con personalità di un mondo dorato,  ma del passato, quello con i Bettini, nessuna traccia, come se non fossero mai esistiti. Sembrava che Sofia Bettini fosse nata a Ginevra vent’anni dopo la sua vera nascita. Ma allora di quale verità aveva voluto metterli al corrente? Perché costringerli per quindici giorni ad ascoltare una lettura, se pur piacevole, dalla voce di un’estranea? Giunsero alla conclusione che si trattasse di un capriccio di un’anziana giunta al termine della propria vita. Che altra spiegazione poteva esserci.

La sorpresa maggiore, che soprattutto Lucia e Freddy non riuscirono a digerire fu l’apprendere che la maggior parte del patrimonio Bettini andava a Carla Oggieri, giovane assistente del notaio Archetti, un’orfana che dopo essere passata attraverso l’esperienza di due casa famiglia era stata adottata e cresciuta dalle suore del Sacro Cuore dell’Immacolata.

Alla sorella Colorado, Sofia aveva lasciato abbastanza denaro per vivere serena gli ultimi anni che le restavano con la sua compagna, Teresa, in quel casermone cupo e grigio, ricordo di quando in Polonia i comunisti erano al potere. Anche Lucia e Freddy si ritrovarono dall’oggi al domani ricchi e messi in condizioni di ricominciare una nuova vita, o almeno Sofia aveva sperato che fosse così, ma di loro si sono perse le tracce.

 

I FATTI

Era una bella giornata di primavera, inizio anni ’50, quando una comitiva costituita da una ventina di ragazzi guidati da un prete, si dirigeva vociando verso Valsozzine, una foresta di alberi ad alto fusto e un ricco sottobosco  un’ intricata e disordinata boscaglia,  particolarmente fitta là dove gli alberi sono stati tagliati.

 Don Previdi un bravo parroco che aveva preso a cuore la propria missione, ogni tanto interveniva con voce forte per mettere in riga i giovani scalmanati. Finalmente, giunti alla radura scelta come campo base, li radunò attorno a se, da brava chioccia, per dispnsare le ultime raccomandazioni.

“Non allontanatevi, restate a gruppetti di due o tre, è più sicuro. E tu, Sofia, non ti stancare troppo”.

Li aveva covati con lo sguardo accompagnandoli con qualche preghiera fin quando non erano spariti divorati dal bosco. Sofia per ultima si era girata verso di lui, per salutarlo ancora una volta. A lungo lui la ricordò mentre si allontanava con un sorriso di gratitudine stampato sul viso.

E possibile abituarsi a qualcosa che un tempo è apparso orribile, E possibile accettare nel proprio corpo una presenza estranea chiamata  dolore,  che  cristallizzandosi diviene una parte di noi. Tutti ormai credevano che Sofia fosse morta, per alcuni quella certezza si era consolidata pochi giorni dopo l’accaduto, non appena si era diffusa la notizia della scomparsa di una delle Bettini (la rassegnazione era avvenuta gradatamente, gocce che cadono pian piano – a logorar la pietra). Don Previdi era stato il testimone diretto di questo fenomeno, ma la cosa peggiore era  la certezza, per lui,  che alcuni, e soprattutto la famiglia di Sofia,provassero un assurdo sollievo nel pensare che fosse scomparsa per sempre.

Sofia si voltò rivolgendo un ultimo saluto a Don Previdi. Respirando a pieni polmoni l’aria del bosco si allontanò da sola dalla  parte opposta dal sentiero preso da tutti gli altri. Era passato molto tempo senza che lei se ne accorgesse, il sole ora si trovava a ovest, era l’ora del tramonto quando Sofia si rese conto di essersi smarrita. Doveva trovare una via d’uscita, un torrente, ricordò che i corsi d’acqua portano a valle. Ad un tratto sentì uno strappo e lo scialletto che le avvolgeva il collo rimase incastrato in un cespuglio di more cresciuto a strapiombo su di un burrone.

Spaventata si mise a correre senza voltarsi e finalmente vide un gruppo di casette. Avvicinandosi notò che erano delle casere, baite tirate su a pietra e calce che sicuramente nel periodo che va da giugno a settembre pullulavano di vita, ora invece sembravano abbandonate. Ormai era buio. Stanca si accoccolò sui gradini davanti alla prima porta cercando di organizzare  le prossime mosse da farsi. Il cuore le doleva soprattutto per Don Previdi, intuiva la sua disperazione. Si promise di chiedergli scusa in tutti i modi, scusa per il presente e scusa per il passato. Si addormentò. Al risveglio il sole era alto nel cielo, ma tutto attorno era silenzio. Stranamente si accorse che cominciava ad amare quella solitudine, e soprattutto si sentiva libera, leggera, lontana dall’orrore della sua famiglia. Era un’altra una persona, un’altra Sofia,  e questa sensazione  era troppo importante per lasciarsela sfuggire. Al secondo giorno seppe che non sarebbe mai più tornata indietro. Chissà forse perdersi non era stato un caso. Le cose accadono e noi lo vogliamo. Si cibò di fragole e mirtilli,tutto ciò che aveva raccolto e poi di erbe e bacche, non aveva paura della natura e se la fece alleata. Passarono i giorni, ne aveva perso il conto, quando finalmente da lontano vide una figura, un uomo o una donna, non si capiva, che si stava avvicinando. Agitò le braccia e si mosse incontro alla sua salvezza.

       “ Ma che ci fai qui?”

Con chi se ne andò Sofia Bettini quel giorno di una lontana primavera del 1955, con un maniaco? Uno scellerato? Un diavolo? O un angelo?

Continua a leggere..  Prec – Succ

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